raffaella cardarelli
26 November 2020

Exponential learning. Come apprendere continuamente.

raffaella cardarelli
26 November 2020

Esiste ancora molta incertezza su come il mondo del lavoro evolverà nel 2021 e oltre. Un messaggio, tuttavia, ci è ormai arrivato forte e chiaro: la capacità di adattarsi velocemente all’imponderabile è l’unica possibilità che abbiamo per vincere la guerra contro la pandemia. Sta a ognuno di noi trovare nuove soluzioni, ciascuno nel proprio ambito, provando, sbagliando e riprovando. E imparando il più possibile.

Ancor prima della pandemia, la formazione professionale era stata diffusamente indicata come una delle attività strategiche essenziali per affrontare il veloce e drastico cambiamento imposto dalla rivoluzione digitale. Oggi, affermare che il reskilling (riqualificazione) e l’upskilling (aggiornamento delle competenze) siano diventati un imperativo categorico per affrontare con le giuste armi questo nuovo mondo, non è un’esagerazione. 

È, al contrario, una banalità. 

Basta guardare a quanto di ciò che davamo per scontato, scontato non lo sia più; e a quanto più complesso sia diventato portare avanti anche solo un piccolo progetto personale o aziendale, mentre navighiamo a vista nel mare in burrasca di questa low-touch economy. 

Servono nuove armi e dobbiamo imparare ad usarle.

I tradizionali modi e metodi del project management non funzionano più e, i nuovi, non possono essere improvvisati. Bisogna non aver paura di cambiare e, per farlo bene, ricominciare a imparare. O meglio, a imparare continuamente, senza remore e senza scuse. Perché non ci sono scorciatoie: sopravviverà solo chi si attrezzerà prima degli altri.

In questo periodo di grande lavoro e riorganizzazione, ho sentito molti imprenditori e manager riconoscere l’esistenza di un sempre più ampio gap di competenze, verticali e trasversali, e ammettere l’esigenza di fare qualcosa per riempirlo. Tuttavia, al dunque, pochi sono pronti ad investire in formazione di qualità, personalizzata alle esigenze specifiche delle aziende o delle persone che ne rappresentano la struttura portante. 

Una recente indagine di Infojobs ha rilevato che il 48% delle aziende intervistate non ha proposto formazione ai suoi dipendenti durante il lockdown e che il rimanente 52% ha offerto “corsi online”, trasferendo per lo più quelli previsti in digitale, senza ripensare ai contenuti e alla loro strutturazione. Si evince dalla stessa indagine, tuttavia, che i lavoratori desiderano fondamentalmente 3 cose dalla formazione: un piano personalizzato per un percorso di crescita professionale (56%), un potenziamento di investimenti (21%) e la possibilità di essere coinvolti attivamente nella scelta (13,3%). Appare evidente che “nel nuovo contesto (…) l’offerta formativa dovrebbe essere ripensata in senso universale. L’aumento della competenza di ognuno dovrebbe essere applicata in maniera strategica, coinvolgendo sia i dipendenti sia i dirigenti. Tutta l’organizzazione è chiamata ad avere una nuova mentalità” (Affari Italiani, “Il piano di McKinsey dopo l’emergenza Covid“, Ottobre 2020).

Perché, proprio ora, la formazione non è tra i primissimi investimenti strategici aziendali (o personali)?

Mentre io stessa ero impegnata nell’organizzazione dei nostri nuovi percorsi formativi, sono voluta andare a fondo della questione, perché capirne le motivazioni ci avrebbe aiutati – come di fatto è poi avvenuto – a costruire risposte concrete allo scetticismo del mondo manageriale e imprenditoriale. Ho intervistato molti miei contatti, partecipato a diversi webinar e ho letto report e analisi specifiche sull’argomento. Vorrei riassumere qui di seguito le mie conclusioni su quali siano le prime tre motivazioni che fanno dire alle aziende “sì a una formazione ripensata e personalizzata, ma non ora”. 

Al termine di questa riflessione, illustrerò come noi, in Albachiara Corporate Learning, abbiamo risposto alle esigenze emerse mettendo in campo le nostre conoscenze di imprenditori, manager, formatori e coach.

Perché sì, formarsi e formare è oggi àncora di salvezza.

Perché no, la formazione non può e non deve più essere rinviata.

E perché sì, volere è più che mai potere.

 

  1. Manca il tempo

Accidenti, che bella la tua proposta formativa sul “change management”! Ma non ho proprio il tempo da dedicarci, né io, né tanto meno i miei collaboratori. Stiamo cambiando così tante cose tutte insieme, che avere il tempo anche per l’apprendimento è un’utopia. 

Proprio così: le persone in azienda sono cosi impegnate a cambiare il business in una corsa forsennata contro il tempo, che sfugge un concetto elementare: per cambiare qualcosa di conosciuto in qualcosa di sconosciuto, è necessario prima capire verso cosa si sta andando, per poi apprendere il modo migliore per farlo. 

Anche il recente report di Udemy (2021 workplace learning trends report) conferma quantitativamente che il tempo è un vero problema per chi vuole formarsi oggi.

Udemy “2021 workplace learning trends report”, November 2020

Tuttavia, anche io sono manager e imprenditrice e capisco perfettamente la tragicità del momento: davanti al problema di sopravvivere a un naufragio è molto più istintivo gettarsi su una zattera, che chiedersi se sia quella giusta, o dove e come portarla a destinazione; soprattutto se non si hanno certezze di successo. Il che mi porta a introdurre il secondo motivo più citato dalle mie fonti per non abbracciare immediatamente la formazione.

  1. Il ROI della formazione non è certo

Pervade, cioè, la sensazione che gli effetti della formazione non siano facilmente misurabili e non portino ai risultati immediati che si auspicano all’atto dell’investimento.

Questo non si applica fortunatamente al nostro caso, considerato che sviluppiamo soprattutto formazione altamente personalizzata per poter elargire ai manager strumenti per la risoluzione di problemi specifici. Strumenti il cui utilizzo è pressoché immediato e misurabile. Tuttavia, è indubbio che una certa formazione professionale tradizionale trovi il tempo che trova, se l’impegno a elargirla non è costante nel tempo, se l’azienda non la incentiva, se il programma non è ben strutturato e integrato a tutti i livelli, personalizzato, verificato e di qualità.

È purtroppo la normalità, invece, che i percorsi formativi aziendali – quando avvengono – siano sporadici e destrutturati, mentre le aspettative di chi vi investe restano comunque molto alte. Per fare solo un esempio, chi crede che si diventi un Jack Ma frequentando un corso dedicato alla leadership, sbaglia di grosso. Basta guardare questo grafico.

E’ necessaria una pratica quotidiana, seguita a tratti da un coach competente che sappia, in questo caso, reindirizzare gli sforzi e rifocalizzare gli obiettivi. Consiglio, a chi vuole approfondire l’argomento, la lettura di “The Trillion Dollar Coach”, scritto da leader del calibro di Eric Schmidt, Jonathan Rosenberg e Alan Eagle sul coach più’ influente che vi sia stato in Silicon Valley: il grandissimo Bill Campbell. 

Per formare un leader o un manager efficace, per godere dei frutti del suo operato, c’è bisogno di un impegno convinto e duraturo. Un lusso (e una motivazione) che non tutti hanno. Ecco perché, in terza posizione tra i motivi del ritardo nello sviluppo delle competenze, mi sento di mettere la “presunta” mancanza delle risorse necessarie da destinare alla formazione.

  1. La presunta mancanza di risorse

Lego il problema della mancanza di risorse non alla effettiva disponibilità economica (come il report di Udemy invece suggerisce), ma di nuovo al tempo, che equivale – nel mondo del management – a denaro e produttività. Perché, per chi vuole intraprendere la via della formazione finanziata, esistono ormai innumerevoli aiuti nazionali e europei di cui, spesso, le aziende non sono neanche a conoscenza. Noi aiutiamo i nostri clienti ad accedere a queste risorse pubbliche. Tuttavia, ho personalmente constatato che, soprattutto in Italia, togliere il problema del finanziamento attraverso questa soluzione, non è nella maggior parte dei casi sufficiente per sbloccare la decisione di erogare formazione aziendale. Ergo, la mancanza di risorse finanziarie non è ancora un motivo determinante. Lo diventa quando, in assenza di tempo e insicuri dell’ottenimento di un risultato misurabile e certo, il manager deve decidere se rischiare di abbassare la sua produttività per dedicarsi alla sua formazione o a quella dei suoi dipendenti. 

 

Piuttosto che niente, meglio piuttosto?

I più lungimiranti, dinnanzi a tutti questi dubbi, non volendo comunque rinunciare a formarsi o formare le proprie persone, si affidano massivamente all’e-learning, pensando che “piuttosto che niente, meglio piuttosto”: accesso libero per i loro dipendenti ai corsi Linkedin o a altre prestigiose piattaforme digitali (MIT, Harvard, Oxford, etc.), partecipazione a webinar o conferenze specialistiche, adozione dei contenuti disponibili grazie ai cosiddetti MOOC (massive open online courses, come Coursera, Edex, Udacity, etc.). Questo tipo di apprendimento è senz’altro molto utile, conveniente e flessibile. Lo uso, personalmente, anche io. Tuttavia, davanti alle attuali esigenze di up/re-skilling, queste sono soluzioni incomplete perché mancano delle tre cose più importanti per l’apprendimento risolutivo che si cerca oggi: la presenza costante di una guida esperta che sappia calare i contenuti nel contesto aziendale e di mercato, l’aggiornamento quotidiano dei contenuti formativi e la pratica sul campo. 

L’e-learning rischia di essere un’esperienza illusoria per coloro i quali gli attribuiscono il ruolo sbagliato: i contenuti – seppure di alta qualità – spesso non trovano riscontro nella pratica quotidiana aziendale e rischiano di rendere ancora più frustrante l’esperienza lavorativa. Inoltre, la mancanza di condivisione dei contenuti con gli stessi formatori o coi propri colleghi, inaridisce l’efficacia formativa e quel “feel-good factor”, che è alla base di un apprendimento che sedimenti nel tempo.

Per non parlare del fatto che, attraverso l’e-learning, si delegano pericolosamente al discente troppe leve strategiche:

  • capacità di strutturare un percorso che abbia senso rispetto agli obiettivi aziendali o personali;
  • verifica o supervisione di ciò che effettivamente si è appreso (ci sono i quiz finali, ma dove è il contesto?);
  • scelta e uso degli strumenti manageriali più adatti alle esigenze professionali quotidiane;
  • motivazione per arrivare fino alla fine del percorso prescelto (il tasso di abbandono di un corso in e-learning è, purtroppo, molto alto);
  • mantenimento della cultura e dei valori aziendali (l’apprendimento di nuova conoscenza può portare facilmente a un distaccamento emotivo dall’azienda e, quindi, a successiva demotivazione/abbandono).

È per tutti questi motivi che la formula “blended” (combinazione di formazione digitale e in presenza) è suggerita come “best practice” per l’up/re-skilling professionale. Noi la eroghiamo da sempre ma, nel contesto sopra descritto, non risolve ancora gli ostacoli odierni, legati ai fattori Tempo e ROI.

 

Qual è allora la soluzione per una formazione veramente produttiva e misurabile?

A mio avviso l’unico modo affinché l’up/re-skilling dei propri talenti avvenga in modo misurabile (risultati tangibili e immediati) e produttivo (senza distogliere i discenti dalle loro attività quotidiane), è integrare la formazione nei processi progettuali. In questo modo essa diventa strumento abilitante al raggiungimento degli obiettivi prefissati sia per il business, sia per lo sviluppo personale di competenze specifiche.  

Ciò significa incentivare una cultura di apprendimento continuo (continuous learning culture) all’interno della propria impresa e nel flusso delle proprie attività, anche da remoto. 

E’ provato da numerosi studi (vedi sotto la bibliografia) che questo tipo di cultura offre innumerevoli benefici, non ultimo quello di essere estremamente conveniente in termini di tempo e risorse da dedicare al miglioramento continuo delle pratiche manageriali. Il modello ha inoltre il pregio di motivare i collaboratori e, quindi, la ritenzione dei talenti è pressoché garantita quale prodotto collaterale.

Come si fa a sviluppare un modello di apprendimento continuo?

Questo modello si basa normalmente sulla combinazione di 3 tipi di apprendimento: formale (formazione aziendale, corsi di specializzazione, MOOCs, e-learning, etc.); sociale (conoscenze e abilità apprese dalla propria rete di contatti esperti, dai social network, dal lavoro in team, etc.); autonomo (letture specifiche, ascolto di podcast, ricerche, sperimentazioni, etc.). Una combinazione di attività che funzionerebbe in azienda se tutti i talenti da formare avessero una propensione e motivazione naturali all’apprendimento continuo. Cosa altamente improbabile. Come fare allora?

Questa è la nostra metodologia: consta di 4 attività che, nella nostra esperienza, sono essenziali al raggiungimento di una cultura aziendale votata all’apprendimento continuo.

  1. SGA – Skills gap analysis

    Prima di tutto è necessario capire quali siano le competenze mancanti rispetto agli obiettivi aziendali prefissati. Questa analisi è il risultato di un processo strutturato e inclusivo, attraverso il quale non solo si acquisiscono indicazioni molto precise sulle abilità da sviluppare/rinforzare, ma si genera anche una consapevolezza collettiva delle direzioni strategiche dell’impresa. Si aumenta così il coinvolgimento (engagement) delle persone, le quali si sentono parte determinante nella costruzione del futuro della loro azienda.
    Output 1: SGA Analysis Report

 

  1. Integrazione dell’apprendimento nel flusso di lavoro

    A seguito della SGA, si procede celermente ad abbinare lo sviluppo delle competenze mancanti a progetti nuovi o già esistenti, ritenuti strategicamente o tatticamente prioritari per l’avanzamento del business. L’apprendere non è così più relegato ad un evento limitato nel tempo, i cui effetti sono immediati, ma non duraturi. Apprendere diventa, al contrario, parte integrante dell’esperienza lavorativa quotidiana. Una specie di “learning-by-doing” pianificato e strutturato, che permette di continuare a generare valore per l’azienda.
    Pertanto, nei piani strategici aziendali (PLAN), si inserisce anche lo sviluppo integrato di nuove abilità e conoscenze dei propri talenti.
    Output 2: PDCA Strategic Plan

  1. Identificazione e formazione di learning champions

    Per poter integrare la formazione in azienda in modo concreto e standardizzato, sono necessari dei/delle “transformations leaders” (con un cliente recente li abbiamo chiamati “learning champions”), che vanno formati come dei “super coach” (train the trainer), seguendo la cultura e i valori distintivi dell’azienda. Questo renderà la formazione interna autonoma e continua anche dopo questo primo intervento.
    Output 3: Coaching of corporate learning champions

  2. Formazione di squadre di lavoro e mappa di navigazione

    Coi learning champions si disegna, infine, il framework di apprendimento continuo: i progetti strategico-operativi indicati dalla dirigenza in fase 2, partono in fase esecutiva (DO) con le squadre di lavoro. I componenti vengono selezionati a seconda delle loro abilità esistenti e delle esigenze di formazione identificate dalla SGA.
    Ogni squadra e i loro leader sono affiancati da dei tutor-formatori nei momenti di briefing, di passaggio di nuove tecniche (pillole formative) e di controllo del progresso fatto verso il raggiungimento di ogni milestone (CHECK).
    Output 4: Composition of teams / Navigation map / Projects kick-off

La durata di un progetto come questo varia, ovviamente, a seconda del tipo di azienda, delle persone coinvolte e del loro “stato di partenza”. Nella nostra esperienza la forbice temporale va dai 2 agli 8 mesi. Il che, se ci si pensa bene, è un’inezia rispetto agli obiettivi che si raggiungono.

 

Risultati eccezionali su più direttrici

Questo modello di formazione integrata garantisce lo sviluppo in azienda di una nuova forma mentis, incentrata sul capitale umano, l’ asset di maggior valore di qualsiasi economia. Ho personalmente testimoniato trasformazioni epocali in ogni realtà imprenditoriale, in cui ho avuto l’opportunità di dirigere i lavori. Già dopo la fase 2, l’impresa appare come trasformata, con standard qualitativi condivisi, uno spirito di gruppo eccezionale e un’ottimizzazione dell’apprendimento senza precedenti. 

Attraverso questo approccio, la formazione equivale a progettualità: ne diventa, di fatto, una parte abilitante. Il rischio di “perdere” tempo è pari a zero (si impara, continuando a produrre business) e il ROI è misurabile attraverso l’avanzamento progettuale e il suo successo. In caso di insuccesso, l’apprendimento è comunque assicurato dall’analisi collettiva delle sue cause, spinta dai trainers e dai learning champions, i quali impareranno quindi a includerla all’interno dei loro processi manageriali (ACT).

Questo modello formativo per noi è l’“experiential learning” portato al massimo del suo potenziale. È l’Exponential Learning. Può essere realizzato anche in remoto, utilizzando in sinergia le piattaforme di comunicazione e di collaborazione attualmente disponibili quali, per esempio, Zoom e Slack. A seconda delle necessità di motivazione delle risorse aziendali, l’intero processo può essere reso molto più accattivante attraverso la creazione di temi specifici. Questi vengono poi espressi da un’immagine dedicata e da vari strumenti di comunicazione interna. Un progetto può trasformarsi cosi’ in una missione, i cui partecipanti possono assumere diverse personalità e lavorare insieme per raggiungere una tappa dopo l’altra.

Gamification dell’esperienza formativa o meno, ciò che questo modello di apprendimento continuo assicura è la nascita di una mentalità aziendale votata alla cura del talento, della collaborazione, dell’inclusione, dell’apprendimento abbinato all’esperienza e, quindi, del miglioramento continuo. Un metodo formativo che permette di continuare a produrre business per l’azienda, anzi, di incrementarne esponenzialmente le chances di successo.

Se vogliamo seguire la linea rossa, non è tempo di posare le armi. Afferriamole, invece, con la determinazione di chi vuole migliorarsi per fare la differenza!

 


Let’s move forward together. This is definitely the moment! 

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