raffaella cardarelli
4 May 2020

Nuovi bisogni e comportamenti di un’umanità sotto scacco

raffaella cardarelli
4 May 2020

Oggi inizia la Fase 2 dell’emergenza, quella del rientro parziale alle nostre attività e della speranza che tutto vada veramente bene.

Ci affacciamo, tuttavia, ad un mondo nuovo, con l’ansia di chi non sa cosa aspettarsi al di là del guado e se si è veramente pronti ad affrontare ciò che verrà. Questo malessere è in parte dovuto al fatto che si attendevano risposte professionali di sistema, che non sono del tutto arrivate il 26 Aprile scorso.

L’attesissima conferenza stampa del nostro Primo Ministro ci ha, infatti, lasciati delusi e frustrati.

Non perché, come frainteso dal Governo, quasi nulla sia cambiato per le nostre libertà e per le nostre prospettive di lavoro. Ma per la mancata comunicazione di un piano strategico vero, che avrebbe dovuto rispondere ai nuovi bisogni della popolazione e alle aspettative riposte nei ben 450 esperti, chiamati a risollevare le sorti sociali ed economiche del nostro Paese.

Abbiamo invece assistito all’enunciazione scolastica di un calendario di riaperture e di una lista di divieti. Noi ci aspettavamo, al contrario, un approccio imprenditoriale alla ripartenza: iniziare dal commentare i dati consolidati della pandemia (dove siamo), per poi comunicare gli obiettivi a medio-lungo termine (dove andremo e quali scenari possibili si prospettano) per finire con i capisaldi del piano socio-economico di azione per ciascuno scenario (come arriveremo a destinazione). Tutto ciò nella tutela della salute (tracciamenti? cure a casa?) e del lavoro (dove trovare i protocolli? il piano per le partite iva? i bambini a casa? la scuola?).

Non sono mancate le critiche e, ancora una volta, in questi ultimi giorni vi sono stati chiarimenti a spezzatino da parte del Primo Ministro e di tutta la sua compagine. Tuttavia, oggi riapriamo senza che nessuno abbia capito, senza ombra di dubbio, con quali strumenti il Governo ci difenderà da un molto probabile riacutizzarsi dei contagi e quando gli aiuti finanziari decisi arriveranno alle famiglie, ai professionisti e alle imprese in difficoltà. 

L’imprenditoria è chiamata a fare meglio della politica

Questo è un errore comune in situazioni di crisis management: si macina tantissimo lavoro in un brevissimo lasso di tempo e, nella sintesi e comunicazione strategiche, si perde totalmente il focus del piano di salvataggio: i bisogni e le aspettative delle persone.

L’imprenditoria non può permettersi di commettere lo stesso errore. L’umanità è cambiata e cosi’ dovrà cambiare il nostro modo di fare impresa, se si vorrà sopravvivere a questa onda d’urto socio-economico senza precedenti.

In un’ottica di business modelling, ho voluto riflettere su alcuni bisogni e comportamenti di consumo emersi durante la fase di lockdown, quale base di riflessione per un piano di change management strutturato. Condivido qui, sperando possano essere utili suggestioni.

Il virus ha attaccato non solo i polmoni dell’umanità, ma anche il suo intimo 

L’umanità è cambiata. Questa repentina metamorfosi sociale sta avendo delle conseguenze non indifferenti sulle abitudini di consumo di tutti noi e ogni tipo di industria ne sarà influenzata.

Alcune di queste nuove attitudini resteranno anche al dissiparsi dell’emergenza sanitaria, semplicemente, per convenienza o per utilità. L’imprenditoria è quindi chiamata ad un cambiamento forzato per restare competitiva: che questo impatti sui modi operandi aziendali, o sui prodotti/servizi, o sulla loro distribuzione o comunicazione, non importa.

Lo status quo non potrà funzionare.

Cercando, io stessa, di capire meglio queste neo-dinamiche di consumo, ho letto tantissimo durante la mia quarantena. Ho parlato con tanti clienti che sto aiutando e con partner, colleghi e fornitori con cui sto lavorando. Ho avidamente ascoltato webinar, podcast e interviste in cui, professionisti della C-Suite di virtuose aziende quali Barilla, Ferrari, Google, Netflix, Unilever, Intel, Boeing e altre, hanno offerto generosamente le loro opinioni e condiviso le loro paure e i loro dubbi.

Ho tenuto un diario di riflessioni sia personali, sia professionali e, riassumendole, ho individuato 3 macro-considerazioni che, a mio avviso, influenzeranno il modo di far impresa, a più livelli.

L’umanità, messa sotto una pressione psicologica senza precedenti, sembra aver ri/scoperto:

  1. una nuova gerarchia di valori
  2. la centralità del sapere e della conoscenza
  3. le opportunità della digital economy

Andrò a illustrare ciascuna dinamica, suggerendo anche alcune prime domande strategiche. Non prima di aver spiegato perché è importante fare questo tipo di lavoro, ora.

E’ il momento di scaldare i motori

Mettere mano a un riassetto del business, a un change management plan è urgente.

Donato Iacovone, oggi Presidente della società di costruzioni Salini Impregilo (protagonista della ricostruzione del Ponte di Genova) e per il quale ho avuto il piacere di lavorare quando era AD di EY, ha recentemente usato una metafora molto calzante per descrivere il momento che stiamo vivendo: è come se fosse entrata una safety car durante il nostro Gran Premio. Siamo tutti più o meno in coda e ognuno dovrebbe utilizzare il tempo per cambiare gomme, strategie, mettere nuovo carburante. La Germania, per esempio, ha immediatamente agito introducendo la sicurezza nelle fabbriche, senza fermarle. Chi si è mosso prima, ripartirà avvantaggiato nella sua corsa.

Seppure le emergenze siano tante, dovremmo usare questi giri di pista prima di tutto per comprendere perché e come siamo cambiati, accanto a una ripresa cauta e assennata delle attività lasciate sospese. É un imperativo strategico, perché le conclusioni di questa disamina informeranno i piani di change management da cui dipenderà il futuro di tutti i lavoratori.

Questo é un mio primo tentativo di riflessione su ciò che è cambiato.

1. Una nuova gerarchia di valori

Ho già scritto recentemente della trasformazione digitale in atto, quale uno dei cambiamenti positivi che questa emergenza ci lascerà.

Tuttavia, la più importante trasformazione di oggi non è quella digitale. Stiamo assistendo a una epocale  trasformazione valoriale, che deve portarci a un nuovo modo di intendere l’impresa, che va ben oltre la digitalizzazione che è un mezzo, non un fine.

Mettere le persone al centro

E’ un concetto trito e ritrito che oggi, tuttavia, ha assunto, per l’umanità tutta, un significato più puro e inequivocabile. 

Il benessere, la sicurezza, la salute e il rispetto per l’ambiente sono dimensioni chiaramente e pesantemente rivalutate in questi ultimi due mesi. Superano di importanza sia la capacità di guadagno, sia le ambizioni di carriera e sono diventate delle priorità imprescindibili per moltissime persone. Le conseguenze psicologiche che il coronavirus sta causando alla salute mentale delle persone, sono molto più vicine di ciò che si possa pensare. Per esempio, ho osservato, con sbigottimento e trasporto, l’autentica commozione di Guido Barilla, intervistato da Andrea Pontremoli, AD di Dallara, mentre raccontava lo stato psicologico in cui versava tutta la sua azienda e come stesse cercando di gestirla. 

Questa consapevolezza obbliga noi professionisti a trovare modi convincenti per rispondere a queste nuove necessità con senso di responsabilità, sia che queste diverse modalità vengano espresse nel tutelare la salute psico-fisica delle persone nei loro posti di lavoro, sia nel ripensare a cosa vendere e come proporre i prodotti o i servizi alla base del nostro business. 

La dimensione umana del business

Nella paura e nello sgomento collettivi, si è riscoperta l’importanza del rapporto umano vero, autentico, collaborativo. Una gestione delle persone basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco è, pertanto, una condizione di ripartenza non più rinunciabile. Cosi’ come la collaborazione con il prossimo, a tutti i livelli. Ciò significa trovare soluzioni di business con i nostri partner, con i nostri fornitori, persino con i nostri competitori diretti o indiretti. 

La ricerca costante di dialogo con tutti gli attori del nostro ecosistema è senz’altro un investimento di tempo e di energie necessario per accelerare la creazione di un’efficace strategia di uscita. Parimenti, dovremo cercare di coinvolgere la nostra clientela attraverso contenuti autentici e sinceri. 

Accanto alla rivalutazione dei rapporti umani, è nata una nuova consapevolezza sull’aiuto che, in momenti di crisi, può offrirci una comunicazione diretta chiara,  empatia, trasparente, continua. Abbiamo imparato a parlarci di più e a arrivare al punto più velocemente, partendo tuttavia dal confidarci le paure che il periodo porta con se, per concentrarci cosi’ in modo più emozionale e vero su ciò che è prioritario nel fare business.

Come, quindi, sviluppare una metodologia di comunicazione interna ed esterna cosi’ efficace, in modo che detti benefici restino nel lungo termine?

L’importanza della sostenibilità

Il risvegliarsi della natura, il suo riappropriarsi di spazi che il nostro progresso le aveva tolto, ci ha regalato scene incantevoli cui ci siamo affezionati e che ci hanno spinto a riflettere sui comportamenti che l’umanità tutta ha tenuto fino a qui rispetto al creato: dalla ricomparsa dei delfini nei porti, all’acqua trasparente della laguna di Venezia e all’aria limpida sulla Pianura Padana, il messaggio della natura all’essere umano è forte e chiaro. Vi è indubbiamente una rinnovata sensibilità rispetto il tema della sostenibilità e delle energie alternative. 

Come rispondervi adeguatamente attraverso le nostre imprese?
Come comunicarlo con convinzione e autenticità?

L’umanità é più selettiva

Nei momenti di crisi, si osservano più attentamente i comportamenti del nostro prossimo e si seleziona. 

Così come si notano gli amici veri, anche nel business, si distinguono i partner veri, i dipendenti più leali, chi ti sta vicino e chi si gira dall’altra parte.

L’azienda può così diventare un punto di riferimento, un luogo sicuro che ci protegge, sia per impiegati, sia per fornitori e partner o per i consumatori finali. 

Dobbiamo quindi proteggere tutta la nostra catena del valore. Costruire relazioni profonde, chiarendo quali siano le priorità: la salute delle nostre persone, il servire la nostra comunità e, solo dopo, la continuità del nostro business.

La solidarietà prima della vendita

Bending spoons, in Lombardia, ha reso gratuiti i suoi servizi di Yoga e Fitness per tutti gli Italiani in lock-down. Risultato: enorme incremento di download delle loro applicazioni. L’azienda ha anche donato 1M € agli ospedali locali e alla Protezione civile.

E’ solo uno di innumerevoli esempi che si sono estesi nel nostro Paese come degli arcobaleni meravigliosi. 

Come spesso accade, l’egoismo delle persone cessa di esistere quando ci si sente tutti uniti da un comune destino.

Collegato a questo bel concetto di solidarietà, trovo vi sia l’esigenza di rimodulare in modo intelligente le strategie di marketing di questa delicata fase di cambiamento. Ho notato molte aziende cercare di vendere beni e servizi non indispensabili, anche durante le prime settimane di questa emergenza. Si capisce la tentazione, alla quale tuttavia è necessario resistere. In momenti di crisi cosi’ gravi, essere generosi, dare supporto, anche solo a livello psicologico, senza aspettarsi nulla in cambio, è perentorio. E paga nel lungo termine. 

Utili cose da fare sono offrire solidarietà ai consumatori finali; se possibile, donare i propri servizi o prodotti gratuitamente o con concreti vantaggi economici; distribuire informazione di qualità, che tengano conto di tutti i cambiamenti valoriali in atto; cementare il più possibile il rapporto con tutti gli altri stakeholder, quali partner e fornitori. Il business tornerà di conseguenza, perché le persone non scorderanno ciò che si è fatto per loro.

2. La centralità del sapere e della conoscenza

Con più tempo a disposizione, molti di noi sono tornati ai libri e all’apprendimento online. Magari accanto ai figli, che stanno concludendo il loro anno scolastico su Google Meet o Zoom. Noi adulti abbiamo scoperto, accanto a loro, quanto la formazione personale, il tenersi aggiornati costantemente e la ricchezza di una cultura trasversale, rappresentino l’unico, vero strumento per superare qualsiasi avversità. 

Non senza una trasformazione nei modi di apprendimento che il digitale comporta. Con tutti i suoi pregi, ma anche i suoi limiti.

Come dichiarato giorni fa dal rettore dell’Università Università Bocconi, Gianmario Verona,” bisogna aggiornarsi e saper offrire un insegnamento più coinvolgente e appassionante, rispetto al passato”. 

Aggiungo che questo vale sia per le scuole o le università, sia per la formazione professionale.

 The illiterate of the 21st century will not be those who cannot read and write, but those who cannot learn, unlearn, and relearn”. – spiego’ bene il celebre saggista futurologo americano Alvin Toffler.

Come potremo, dunque, continuare a offrire formazione esperienziale di alta qualità, nonostante il distanziamento sociale imposto da questo nuovo mondo? 

Come superare l”’illusione culturale” offerta dall’e-learning e dalla scuola digitale? 

Come dovranno essere riorganizzate le corporate academies per favorire lo sviluppo di competenze utili all’adattamento e alla risoluzione di problemi complessi? 

Come costruiremo la leadership di domani?

Scoprire quale sia questo nuovo equilibrio, é una sfida molto eccitante per chi si occupa di formazione. Lavoriamo su questo tema tutti i giorni, coi miei collaboratori, senza timore di sbagliare perché questo è il momento ideale per gli errori. Chi non li commette, non innova.

3. Le opportunità della digital economy 

Stiamo assistendo a una profonda trasformazione dei comportamenti di tutti i target di consumatori e, di nuovo, il digitale è diventato l’alleato abilitante per eccellenza. I posti si visitano digitalmente, la spesa, il lavoro, l’apprendimento, l’intrattenimento, la socialità sono digitali. Questo avrà delle ripercussioni enormi su tantissime industrie alla riapertura.

La scoperta di quanto siano utili gli acquisti online, per esempio, causerà una probabile contrazione sugli acquisti svolti in modo tradizionale. 

Il 65% di chi ha comprato online nel mese di Aprile non l’aveva mai fatto  prima!

Come dare un incentivo a tornare a comprare in negozio? Come migliorare l’esperienza di acquisto offline?

Allo stesso modo, grazie all’uso obbligato del telelavoro (non chiamatelo per favore “smart working”, che questo è un’altra cosa!), vi sarà molta meno mobilità fisica.

Come attrarre di nuovo le persone sui treni, gli aerei e le macchine? 

E come farlo in modo sostenibile, vista la rinnovata importanza del rispetto dell’ambiente? 

Molti di noi hanno riscoperto le proprie case, le hanno rese più comode, pulite e adatte al telelavoro. Allo stesso tempo, i membri delle famiglie si sono compattati e conosciuti meglio. Questo ha portato a situazioni non sempre facili da gestire, ma anche a molti momenti di rara bellezza e intimità, cui non si vorrà rinunciare alla ripartenza. L’idea di tornare al lavoro in ufficio 5/7, 8 ore al giorno, per quelle professioni che possono beneficiare del lavoro remoto, non è allettante per nessuno e impone una riflessione alle aziende. Lo smart working significa reimpostare il lavoro per obiettivi e fondare il rapporto coi propri lavoratori sulla fiducia reciproca. E’ una metodologia lavorativa fondata su una forma mentis completamente diversa da quella odierna, tendente al controllo di ogni mossa dei nostri collaboratori. 

Varrebbe quindi la pena cambiare stile di leadership e trasformare l’attuale telelavoro in un approccio al lavoro smart, più organico e strutturato. Perché? Perché se i collaboratori sono felici, le aziende sono felici.

L’efficienza delle teleconferenze, gestita in tempi e modi molto più sintetici e meccanici, ci ha dato la prova provata che si possono evitare probabilmente la maggior parte dei meeting aziendali e fare, per questo, molto di più senza incontrarsi. Le persone non torneranno volentieri agli staff meeting pre-Covid19.

Riorganizzare i modi operandi della vita in azienda, in modo da efficientare i processi interni è un’altra esigenza da valutare prima e includere dopo nel nostro piano di change management. 

La Gig economy é qui e adesso. Non é più fantascienza e ciò é una vera boccata di aria fresca! 

E’ tempo di un Umanesimo imprenditoriale

Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre la possibilità, unica davvero, di aggiustare quello che non va, di togliere il superfluo, di ritrovare una dimensione più umana, più socialmente equa. E di farlo collaborando con tutti gli attori dell’ecosistema imprenditoriale.

Da tempo si parla di rimettere “l’uomo al centro”. Affermazione inattaccabile, se non per il fatto che la tecnologia, attraverso evoluzioni quali l’automazione e l’intelligenza artificiale, sembra scalzare l’uomo da questa centralità. Una situazione come l’attuale lockdown può invece contribuire a che un numero crescente di persone prendano confidenza con la tecnologia e con le possibilità che essa offre e non ne abbiano paura.

Giorgio Armani, in una recente lettera apertaha dichiarato di voler cambiare totalmente il suo modo di fare impresa. Si dichiara stanco di seguire pedissequamente le dinamiche consumistiche e globali della moda, cui si è dovuta sacrificare la qualità del prodotto finito. Il grande imprenditore italiano esprime quindi il desiderio di ricominciare a seguire il flusso creativo che porta alla vera innovazione, senza rendersi schiavi di dinamiche ormai deleteree per le imprese e per la clientela. 

E’ mia convinzione che la globalizzazione, a causa della quale abbiamo subito anche questa pandemia, abbia ormai raggiunto la sua saturazione. Per esempio, le produzioni e distribuzioni del manifatturiero di marchi globali, dovranno pensare a come diversificare i loro processi affinché non vengano mai più messi in ginocchio da una dissennata concentrazione geografica delle loro attività.

Condurre, quindi, una valutazione critica del nostro ecosistema e cambiare con coraggio ciò che non ha più senso di essere, è un saggio investimento per il futuro.

In conclusione, in molti dei casi sopra elencati, pur essendo solo delle prime considerazioni, il cambiamento insorto è positivo e virtuoso. Grazie alla riscoperta di valori umani più stringenti, che erano rimasti impolverati dal progresso di queste ultime frenetiche decadi, ci troviamo davanti all’occasione più unica che rara di riorganizzare le nostre imprese per efficientare/rilanciare le attività e per cogliere nuove opportunità di fare business, nonostante l’incedere della crisi economica più grave dal dopo-guerra. 

In questo percorso di reset globale, vi saranno molte scelte dolorose e impopolari da prendere. Anche su noi stessi. Tuttavia, la maggiore consapevolezza di come il mondo sia cambiato, cosa cerchi e, soprattutto, perché, ci aiuterà a migliorare la nostra capacità decisionale e a sviluppare le competenze per forgiare il mondo che vogliamo.

 


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