Facciamo brevemente chiarezza sulla nuova musica italiana.
Troppo spesso leggo e sento parlare di “nuovi gggiovani” o di “it.pop” e amenità del genere: sono definizioni di circostanza, utili per chi non sa distinguere tra Motta, Nitro e Sfera Ebbasta e che fa molto prima a categorizzare tutto in un unico calderone. Ma c’è una grande differenza tra questi ragazzi, a cominciare dal fatto che i repper cazzucazzucazzu e la trap sono principalmente prodotti dell’establishment, che si piegano alle regole del mercato.
Gli artisti come Motta, Brunori, Calcutta, Cosmo, Coez sono del tutto diversi: hanno una loro personalità, un loro stile e all’establishment mostrano il dito medio. Vanno per la loro strada e se ne sbattono, preferendo concentrarsi sul loro mondo.
Questi ragazzi capiscono la necessità di distinguersi da tutti gli altri e il valore della credibilità. Non a caso finiscono per conquistare crescenti fette di pubblico e, allo stesso tempo, costruirsi la consistenza per creare un nuovo modello di business, assai sostenibile.
Per questo emergono. E prima ancora di raggiungere il grande pubblico – ambizione che, prima o poi, hanno TUTTI – consolidano la loro relazione col pubblico.
Ad esempio Frah Quintale, uno dei più talentuosi tra quelli che stanno per farsi largo, praticamente non è ancora andato in radio e ha già oltre 50 MILIONI (leggete bene: C-I-N-Q-U-A-N-T-A M-I-L-I-O-N-I) di ascolti e oltre MEZZO MILIONE di followers sul suo profilo Spotify. E Carl Brave era enorme molto prima di paracadutarsi nel mondo del pop generalista con la Michelin.
Non sono one-hit wonders: sono qui per restare.
Il tempo dirà chi tra questi avrà fatto le scelte giuste, nella speranza che dall’immenso mare di musica indistinguibile e solitamente mediocre emergano sempre più talenti originali, moderni, in grado di aggiungere qualcosa al nostro ricco panorama musicale del passato.
Non definiteli “it.pop” o peggio, “indie”.
Non vuol dire niente ed è un affronto al loro tentativo di fare qualcosa di nuovo o di diverso.
Sono l’espressione dei tempi che viviamo.
Perciò vi darei un suggerimento:
se proprio dovete, chiamateli NEO-REALISTI