raffaella cardarelli
17 July 2019

Boom di M&A per unire il digitale all’analogico. Come minimizzare i rischi di un flop?

raffaella cardarelli
17 July 2019

Una delle più recenti ricerche svolte da Accenture in ambito M&A (fig. 1) mostra chiaramente una stabile crescita delle acquisizioni e fusioni in tutto il mondo negli ultimi 35 anni.

Accenture – M&A, from Art to Science, September 2018

 

Anche il 2018 è stato un anno molto dinamico, con un valore globale raggiunto di 3.53 trilioni di dollari, pari a un incremento dell’11.5% rispetto al 2017 e, secondo Mergermarket, il terzo valore più’ alto nella storia. In Europa, nonostante la sua incertezza politica, la performance in M&A (989.2 miliardi di dollari) è stata la migliore dalla crisi finanziaria del 2007-8.

Motivo principale di questo fermento?
Acquisire competenze digitali.

The rush for digital capabilities is a major contributor to recent increases. Nearly one-third of companies logging M&A activity describe themselves as traditional companies acquiring digital companies or assets. (Accenture, 09/18)

Prendendo l’esempio del nostro Paese, per il 41% delle aziende italiane, obiettivo primario di un’operazione M&A è acquisire velocemente competenze digitali; per un altro 38% la necessità di integrare tecnologie di nuova generazione.

Pertanto, il 79% delle attività di M&A in Italia è dovuto oggi alla corsa per l’innovazione.

Lo stesso report, tuttavia, ci dice che un approccio M&A tradizionale NON funziona per il digitale.
Che acquisire un disruptor è solo il punto di partenza. 

I migliori team M&A sanno portare agli accordi un tocco umano, artistico. Capiscono che l’innovazione deve essere abbracciata a tutto tondo e che le persone devono essere messe in grado di capire il loro valore aggiunto rispetto alle nuove tecnologie.

Il messaggio è chiaro. Ma come farlo?

Cultura dei valori e
azioni strategiche mirate

È ampiamente riconosciuto e provato da numerosi studi a riguardo, che l’integrazione socio-culturale tra due aziende, o tra un’azienda e una nuova proprietà, sia molto spesso l’ago della bilancia tra successo e insuccesso.

Questo era valido anche in epoca pre-digitale, ma lo è ancora più oggi! Per esempio, Google e Verizon lo spiegano cosi’ in questa intervista realizzata da PWC.

 

Eppure, le analisi finanziarie del “deal” sono quelle su cui verte quasi tutta l’attenzione del management coinvolto in un’operazione di M&A. 

Anche oggi.

Come se ci si aspettasse che, si’ dai, poi le persone si integreranno naturalmente, le culture imprenditoriali si incontreranno a metà strada e le persone troveranno il loro modo di lavorare insieme e di cooperare. 

Niente di più sbagliato e pericoloso!

 

A livello globale, é già stato già calcolato che la percentuale dei fallimenti post M&A è compresa tra il 70% e il 90%. Addirittura, nell’80% dei casi, non viene raggiunto il potenziale del valore che l’acquisizione o la fusione promette di generare alla sua ideazione. I motivi di questa debacle sono certamente di diversa natura, ma – tra questi – il mancato allineamento culturale è sempre elencato tra le primissime posizioni.

Nella nostra diretta esperienza di change management collegata ad acquisizioni o fusioni, in fase di due diligence, deve obbligatoriamente esserci anche un’analisi degli aspetti culturali, per poi costruire una roadmap su come gestirli, condividendola con entrambi le aziende coinvolte. 

Senza avere la presunzione di sostituirsi a studi quantitativamente significativi, vorrei tuttavia contribuirvi, condividendo le nostre evidenze in questo campo, scaturite da una riflessione sulla nostra esperienza diretta.  

Per esempio, abbiamo nel tempo identificato 6 valori-base, che ripetutamente sono mancati in gran parte di quelle aziende di nostra diretta conoscenza che hanno fallito un’acquisizione o una fusione. E sono tutti legati a attitudini comportamentali:

Apertura mentale

Comunicazione

Inclusione

Collaborazione

Umiltà

Rispetto

 

Queste dimensioni, se presenti, hanno portato più facilmente all’integrazione tecnologica a tutto tondo. Coloro che, invece, si sono preoccupati in primis di monetizzare l’investimento, di realizzare la migliore strategia di uscita, oppure di integrare al più presto le nuove tecnologie acquisite, hanno avuto grandi difficoltà nel periodo immediatamente successivo all’unione delle due aziende.

Un esempio pubblico recente di quanto i valori citati siano determinanti, è l’acquisizione da parte di Amazon di Whole Foods, spiegato molto bene in questo articolo dell’ Harvard Business Review.

Se si acquisisce una nuova realtà imprenditoriale, è ovvio che lo si faccia per rafforzare la propria offerta e posizione nel mercato.
Ergo, la Società acquisita porta valore.
Pertanto, il credito va al management che lo ha creato fino ad allora.
Quindi, la sudditanza che spesso vedo esercitata da chi acquista è, a mio parere, un errore quasi infantile. Spesso dovuto a quella che io chiamo “malattia da testosterone”.

Gli effetti negativi si fanno sentire ancora di più nel digitale. Per minimizzare questo rischio, abbiamo visto a volte acquirenti lasciare indipendente il disruptor, in modo da non rischiare di rompere il “giocattolo” appena comprato. Questa attitudine è confermata anche dal report di Accenture, nel quale si cita un’eloquente dichiarazione di uno degli Executives intervistati.

Source: Accenture – M&A Report 09/18

Scelta saggia se, tuttavia, si trova comunque il modo di integrare le due culture e di approfittare delle diverse conoscenze e competenze reciproche. Altrimenti, si rischia di non cogliere il massimo valore possibile dall’unione delle due realtà.

Abbiamo anche riflettuto sulle attività strategiche che abbiamo trovato più efficaci per minimizzare i rischi insiti nel periodo post-acquisizione di un disruptor digitale. In questo caso, viste soprattutto dal punto di vista delle startup tecnologiche.

  1. Partecipazione di tutta la forza lavoro nella nuova Visione futura, inclusiva dei valori e dei principi che dovranno spingerla.
  2. Frequente comunicazione a tutti i livelli su obiettivi raggiunti e passi successivi, riconoscendo la bontà degli sforzi fatti da tutti, a ogni livello.
  3. Promozione di un modus operandi collaborativo e altamente inclusivo, che permetterà a ogni valida risorsa di acquisire il più velocemente possibile hard e soft skills tali, da riuscire a primeggiare nelle proprie aree manageriali.
  4. Formazione verticale (tecnico-specifica) e orizzontale (soft skills e manageriale), a seguito di un’attenta Skills Gap Analysis. 

Già! Di nuovo la formazione…

…E fare come Jeff?

È notizia di pochi giorni fa che Jeff Besos (sempre lui, che descrive Amazon come “the best place in the world to fail“) investirà 700 milioni di dollari per formare i suoi dipendenti nelle nuove tecnologie e nella gestione dell’innovazione. Il programma di formazione si chiama Upskilling 2025.

I programmi educativi rivolti a 100k Amazoniani (1/3 della forza lavoro in Amazon) sono impressionanti per varietà e intenzione: sono stati disegnati per restare altamente competitivi tecnicamente, ma anche  per sviluppare abilità di adattamento e agilità manageriale. 

La formazione è perciò vista quale metodo determinante allo sviluppo di prospettive di carriera per molte ottime risorse interne, che non si sono ancora allineate all’entità e alla velocità del cambiamento digitale in atto. Non si lasciano andare perché obsolete; si formano per tornare ad essere protagoniste della competitività aziendale. 

Non in tutti i casi, pertanto, l’M&A sembra l’unica risposta alla digitalizzazione o al rinnovamento tecnologico di un’azienda. La formazione gioca anch’essa un ruolo determinante.

In questo processo di up-skilling interno, a mio parere, Amazon vincerà almeno tre volte:

I – riterrà i migliori talenti,

II – ne attrarrà di nuovi,

III – apprenderà preziosa conoscenza

da ogni ciclo formativo perché costretta, dalla formazione stessa, a tenersi costantemente aggiornata. 

Alcuni esempi del programma Amazon Upskilling 2025

Amazon Technical Academy
dedicata a impiegati non tecnici per intraprendere una carriera nel software engineering. 

Associate2Tech
che guida i suoi Associates a spostarsi in ruoli tecnici nonostante mancanza di esperienza nel settore IT.  

Machine Learning University
per acquisire esperienza di questa tecnologia attraverso programmi di lavoro on-site.

Amazon Apprenticeship
un programma certificato, che offre un’intensa formazione in aula accanto a esperienze specifiche sul lavoro.

Sono solo alcuni percorsi formativi, i cui contenuti tuttavia lanciano un chiaro messaggio: chi non si forma affinché le abilità tecnologiche, l’innovazione di pensiero e l’adattabilità al cambiamento continuo diventino uno stato mentale quotidiano, è perduto.

Se non avete la fortuna di lavorare per un’impresa illuminata come Amazon, che offre questi percorsi professionalizzanti, retribuiti e personalizzati alle proprie aspirazioni, il consiglio spassionato è quello di investire al più presto sulla vostra formazione e conoscenza.

Oggi non ci sono più scuse per ignorare.

 

La conoscenza dipende esclusivamente dalla nostra fame di sapere e dalla nostra curiosità. E’, questo, un mindset richiesto dai tempi imprevedibili in cui viviamo, le cui dinamiche vengono troppo spesso lette superficialmente, perché si crede di sapere o di capire più di quanto si sappia o si capisca in realtà. Pertanto, l’unica droga da cui dipendere ogni giorno è la ricerca della conoscenza, dettata dalla consapevolezza di quanto si ignori.

Qualcuno lo ha detto molto meglio di me.

Lo studio è come la luce che illumina la tenebra dell’ignoranza, e la conoscenza che ne risulta è il supremo possesso, perché non potrà esserci tolto neanche dal più abile dei ladri.
Lo studio è l’arma che elimina quel nemico che è l’ignoranza. È anche il miglior amico che ci guida attraverso tutti i nostri momenti difficili.
– Dalai Lama


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