raffaella cardarelli
24 November 2019

La vera innovazione passa attraverso il fallimento

raffaella cardarelli
24 November 2019

Sono cresciuta, come tanti, con una compagna scomoda e onnipresente: la paura di sbagliare.

Mi è stata inculcata dalla famiglia: dopo un errore, il castigo.

Dalla scuola: matita rossa, doppia sottolineatura, insufficienza.

Dagli amici (non quelli veri): se non ti adegui al gruppo, sei tagliata fuori.

Dal lavoro: si è sempre fatto cosi’, perché cambiare e rischiare di sbagliare?

Essendo sempre stata uno spirito anticonformista e indipendente, ho sofferto molto in gioventù nel reprimere le mie naturali inclinazioni. Fino a quando, maturando, ho preso coraggio e ho cominciato a sfidare le convenzioni.

Ho spesso sbagliato. Tuttavia, ho imparato enormemente dai miei inciampi e ho capito che, se li avessi evitati per paura di fallire, non sarei arrivata altrettanto lontano.

La cultura dell’errore

L’errore, se non è cocciutamente ripetuto, è una vera miniera d’oro. E’, di fatto, parte determinante del successo di qualsiasi impresa. Suona come un cliché, ma è la pura verità. E’ il motivo per cui i Venture Capitalists americani conferiscono un valore positivo al gruppo manageriale che ha sbagliato più volte, rispetto a quello che non ha provato mai il sapore amaro del fallimento. Questione di cultura, è vero. Tuttavia, dovremmo accoglierla senza remore.

La storia insegna che, spesso, da un errore di percorso possono scaturire scoperte mirabolanti

Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America,

   Alexander Fleming e la penicillina.

invenzioni impensabili

Percy Spencer e il microonde.

Alfred Nobel e la dinamite.

Da uno sbaglio, possono nascere addirittura prodotti che creano un intero segmento di mercato:

John Pemberton e la Coca Cola 

Will Keith Kellogg e i Cornflakes.

 

Il loro minimo comune denominatore è stato il tentare qualcosa che nessuno mai aveva fatto prima; che è, poi, la definizione di innovazione.

La cultura dell’errore si applica anche per arrivare ad esiti meno eclatanti di quelli appena descritti. Per esempio, aspirare ad una carriera internazionale partendo dal niente, senza raccomandazioni, facendo forza solo sulle proprie capacità. E, magari, una volta riusciti nell’intento, provare a farsi conoscere e apprezzare per il proprio pensiero creativo.

L’innovazione è un percorso inclusivo, non esclusivo

Attraverso i miei errori e le esperienze positive che ne sono nate, ho compreso che, se avessi voluto veramente realizzare qualcosa di nuovo, avrei dovuto incontrare e associarmi a persone con, dentro, il mio stesso fuoco. Avrei dovuto cercare anche quelle – forse le più importanti – che avrebbero apprezzato e incentivato il valore del pensiero laterale, pur avendo loro stesse una natura più equilibrata e strutturata. Quel tipo di persona che, alla presentazione di un’idea diversa, ti risponde con un “Sí, e”, invece di un “Sí, ma…”. Quel tipo di (raro) leader, che non esclude niente per partito preso e che sa sempre cogliere, da una scintilla, il potenziale valore aggiunto di un cambiamento.

Non facile, ma possibile. Basta non perdere mai di vista l’obiettivo, insistere nella propria ricerca e non mollare mai.

Guardando oggi alla mia vita personale e professionale, mi rendo conto di aver collezionato, dopo tanto peregrinare in giro per il mondo, Amici e esperienze che mi hanno permesso, quasi sempre, di essere me stessa e di osare. E’ stato un percorso non privo di ostacoli, perché la natura umana è abitudinaria e si accomoda non appena trova un cantuccio di certezze nel quale cullarsi. Il che non è assolutamente da stigmatizzare. Non tutti sono fatti per smuovere lo status quo. E non sempre vi è bisogno di smuoverlo.

Il diritto di sbagliare e il dovere di evolvere

Tuttavia, la società che deve progredire, spinta da condizioni esterne che rendono il cambiamento obbligatorio e inequivocabile, non può e non deve accontentarsi di ciò che ha già conquistato. Ha, invece, un enorme bisogno – direi il dovere! – di evolvere e, quindi, di incoraggiare i suoi componenti più coraggiosi e creativi, a provare il nuovo, a gettare il sasso nello stagno, a fare il passo verso l’ignoto. E’ solo cosi che si può abbracciare e creare vera innovazione.

“Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”

Albert Einstein docet!

Lo spirito imprenditoriale tra le abilità più ricercate nel mondo del lavoro di oggi

Non a caso, una delle caratteristiche oggi più ricercate dalle aziende nei nuovi assunti è proprio lo spirito imprenditoriale: il saper rivestire il proprio ruolo all’interno dell’impresa per la quale si lavora, come se fosse la nostra.

“The entrepreneur always searches for change, responds to it, and exploits it as an opportunity” 

– Peter Drucker

I datori di lavoro, oggi, cercano nelle loro future risorse sempre meno lauree e molto più conoscenze e abilità verticali/tecniche, abbinate a tutti quei “soft skills” che costituiscono, di fatto, uno spirito imprenditoriale completo. Da qualche anno, infatti, i percorsi formativi albachiara coporate learning che vengono più richiesti dalle aziende sono quasi tutti incentrati sullo sviluppo di abilità imprenditoriali. Nello specifico:

  • Comunicazione efficace e persuasiva, scritta e orale (spesso in due lingue)
  • Pensiero creativo, laterale
  • Processi di problem solving
  • Networking e costruzione e mantenimento di relazioni autentiche
  • EQ: intelligenza emotiva e empatia
  • People & team management
  • Condivisione e collaborazione nella gig economy
  • Personal Branding
  • Influencing e abilità di vendita 
  • Time management
  • Failure management

Tutte queste abilità sono essenziali in un vero Leader. Il paradosso è che, a parole si cercano individui imprenditoriali; una volta assunti, pero’, spesso il loro tentativo di innovazione viene ostracizzato per paura, appunto, di sbagliare (o per timore di risultare meno bravi dei nuovi assunti). Il risultato è che questi innovatori, prima o poi, lasciano delusi l’azienda cui avevano dato fiducia, per trovarne un’altra a loro più consona.

L’avversione delle Imprese al cambiamento 

Nella mia esperienza manageriale, ho constatato che le aziende sono nel tempo diventate sempre più avverse al rischio, in un periodo in cui – invece – non possono permetterselo. E’ come se, alcune di queste, davanti al mondo che cambia alla velocità della luce, nella paura di fare qualsiasi cosa, fossero cristallizzate.

Alcune, addirittura, si convincono talmente tanto che il cambiamento non sia necessario, che pensano che tutto si risolverà naturalmente. Quindi, il problema, o non esiste, oppure è temporaneo.

Altre, nel tentativo di fare qualcosa, si affidano molto al concetto di “best practice”, della “miglior pratica”: ciò che è stato già provato con successo è, quindi, riutilizzabile alle stesse condizioni, per arrivare agli stessi obiettivi. Per non reinventare la ruota, per non rischiare di sbagliare, ci si affida alle “spalle dei giganti”, come ci ha insegnato Bernardo di Chartres.

Ciò è senz’altro cosa utile, buona e giusta. Meglio del non far niente o di auto-convincersi che non vi sia un problema!

Seguire solo le “best practices” può frenare l’innovazione

Tuttavia, la “miglior pratica” non è, a volte, sufficiente per gestire il cambiamento. Non possiamo restare tutti dei nani, perché il progresso si realizza solo quando i nani, partendo dall’esempio di qualche gigante, provano a diventare dei giganti anche loro. Se si copia qualcosa, infatti, il meglio che si possa riuscire a fare è cavalcare l’onda di qualcun altro; quando questa si infrangerà, non si avrà la minima idea di come generarne un’altra. Perché la prima onda non era, di fatto, la nostra!

Come aiutare allora i nostri referenti
– clienti, collaboratori, capi o partner che siano –
a capire l’urgenza del cambiamento e ad accettare, per questo, la possibilità di sbagliare?

Essendo chiamata spesso quale agente esterno di cambiamento, ho dovuto io stessa sfidare le best practice consulenziali, per far sì che i piani di azione sviluppati insieme, fossero veramente attuati dai miei referenti e che poi questi li portassero a un efficace e virtuoso cambiamento.

Oggi ho capito che, definire nel dettaglio il problema-opportunità al referente della organizzazione che ha bisogno di te, sia in assoluto il motivatore principe di un serio cambiamento.

Tuttavia, spiegarlo e dare una soluzione post-analisi, (best practice consulenziale), non è più il nostro compito, perché questa pratica si traduce spesso in un cambiamento fittizio. Il nostro compito è, invece, quello di aiutare il nostro referente a identificare il problema-opportunità e a descriverlo da solo. Altrimenti non lo farà mai suo. Non ci crederà fino in fondo, non ne sentirà l’urgenza e non attuerà, di conseguenza, alcun cambiamento significativo. E’ un lavoro da vero coach, quello di influenzare una persona ad abbracciare l’innovazione. Ci vuole preparazione manageriale e formativa, conoscenza tecnica e tanta, tantissima psicologia.

Da dove iniziare?

Sintetizzando, gli approcci che spesso uso per iniziare il processo sono tre, a seconda della personalità dei referenti e delle situazioni specifiche:

  1. Oggi sei il migliore, ma domani potresti non esserlo più. Guarda dove sta andando il tuo consumatore e osserva questi indicatori di competenze future. Le hai già?
  2. Non sei (più) il migliore, ma potresti diventarlo. Guarda chi vince e perché. Cosa ti manca? “If you don’t have a competitive advantage, do not compete” – Jack Welch.
  3. Dovunque tu sia collocato nel mercato, leader o follower, quando è stata l’ultima volta che avete fatto qualcosa che nessuno ha fatto prima di voi? Le barriere di entrata nel tuo settore non esistono più. I competitors sono ovunque, non nascono solo nella tua industria. Guarda, per esempio, queste start-up, che cosa si sono inventate. Perché non ci avete pensato prima voi?

EQ > IQ

A seconda dei referenti e delle situazioni, la conversazione viene iniziata e condotta in modi molto differenti, ovviamente. Non è una conversazione facile da avere, perché l’interlocutore quasi sempre, all’inizio, si mette sulla difensiva. Quindi, sta a noi avere la capacità di intavolare temi scomodi, scegliendo i giusti modi, tempi, ritmi e contenuti. Questa è l’intelligenza emotiva in azione. Impossibile influenzare il cambiamento senza capire come gestire le personalità, motivazioni e caratteristiche emotive delle persone che dovrebbero attuarlo!

Se, quindi, si riesce a facilitare la discussione in modo da ottenere una sintesi chiara e indiscutibile – che verrà poi trascritta insieme sul primo di tanti successivi executive report – quella rappresenterà il vero punto di partenza: l’obiettivo principe, cui tornare sempre durante il percorso; soprattutto davanti agli inevitabili errori che verranno commessi strada facendo.

L’errore fa parte dei costi di qualsiasi opportunità.

Se lo si mette in conto al germinare di una nuova idea o di un nuovo percorso, se lo si gestisce come una preziosa risorsa, e non come una minaccia, si avranno molte più possibilità di creare vera innovazione e, quindi, di lasciare una traccia significativa del nostro passaggio.

Una rivoluzione culturale per le giovani generazioni

Ci sarà sempre un’altra opportunità, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine, c’e’ un nuovo inizio“. Il Piccolo Principe – Antoine de Saint-Exupery

Auspico, allora, una rivoluzione culturale, che inizi dalla famiglia e dalla scuola e si irradi nel mondo politico e nelle imprese; che creda nell’individuo; che insegni ai nostri figli a prendere dei rischi, a accogliere l’errore e il fallimento, a provare cose nuove, a risolvere i problemi a modo loro, a premiarli se tentano una strada diversa da quella indicata, a dirgli bravi!, se colorano i disegni fuori dai quadratini.

Un approccio sistematico attraverso il quale si insegni loro il valore del comunicare a viso aperto, del chiedere aiuto quando, da soli, proprio non si riesce. 

Raccontiamo loro le magnifiche storie dei cavalieri erranti, di chi è scivolato nella vita, per poi rialzarsi più forte di prima. Lasciamo che sviluppino la resilienza necessaria per migliorarsi e, quindi, provare a saltare gli ostacoli anche quando sembra proprio impossibile. 

In altre parole, lasciamoli liberi di credere nel futuro che immaginano, senza limiti.

E di farglielo costruire. 

 


Per conoscere ciò che facciamo in ambito change management in epoca digitale, vedi qui.

Per conoscere i nostri servizi di C-suite management, leggi qui.

Per capire quale tipo di formazione eroghiamo, scopri i programmi del nostro servizio di Corporate Learning.

Se ti interessa la nostra storia, scoprila qui.