raffaella cardarelli
26 April 2020

La ripartenza: verso il business as (un)usual

raffaella cardarelli
26 April 2020

Oggi che la morsa di questa pandemia sembra essersi allentata, si sta passando dalla caotica e improvvisata sopravvivenza, a una seconda delicatissima fase: la gestione del cambiamento. Se è vero che niente sarà più come prima, le imprese che non si adatteranno velocemente al mondo post-emergenza, purtroppo, spariranno.

Il 4 Maggio prossimo ritorneremo, di fatto, a un “business as unusual”.
Inusuale, non solo per come i governi imporranno ai loro cittadini di operare per contenere la pandemia durante la ripresa economica. Ma, soprattutto, per la visione che le nostre imprese dovranno riformulare per operare in un mondo che ha perduto tutti i suoi equilibri.

La nostra risposta non potrà pertanto essere la stessa di prima di questa emergenza.

Il cambiamento dovrà spingersi verso una radicale innovazione del nostro modo di pensare e di operare. “Innovare”, è in effetti divenuto ormai un concetto pervasivo, che si legge e si ripete ovunque e all’infinito. Oggi, in modo diverso dal passato. L’innovazione ha perduto il suo significato modaiolo (“intanto lo dico, poi forse, un giorno, lo farò”), e ne ha assunto uno di impellente urgenza (“se non innovo subito, chiudo la saracinesca”).

Ma come si fa innovazione?

Si innova quando si risponde a un bisogno reale in un modo originale, mai utilizzato prima. Per innovare, quindi, è necessario non perdere di vista il mercato, guardare, osservare e proporre delle risposte concrete, sempre più corrispondenti e convenienti ai bisogni dei clienti.

Un’innovazione risolutiva, in pieno crisis management, scaturirà solo da una puntuale e veloce comprensione dei profondi cambiamenti che sono accaduti dentro e intorno a noi, unita ad una migliore consapevolezza delle nostre abilità e competenze:

offro al mio cliente ciò che per lui, ora, è importante,
con un prodotto e un servizio che so di essere capace a fare (meglio degli altri).
Tra parentesi, l’essenza del vantaggio competitivo.

Il motivo per cui non possiamo continuare a fare impresa come prima di questa pandemia, non è solo legato alle complicazioni che si porta dietro il distanziamento sociale, ma al fatto che tutti noi siamo profondamente cambiati e, con noi, i nostri bisogni. Siamo tutti pesantemente regrediti, per dirla con Abraham Maslow, ai nostri bisogni primari, legati alla salute e alla sicurezza. Se non capiamo perché ci siamo arrivati, non potremo pertanto rispondervi adeguatamente.

                                                                                               La piramide dei bisogni – Maslow (1954)

Il vero primo interrogativo cui rispondere non è, quindi, “come ripartire?”, bensì “perché ripartire?”.

Quali sono, cioè, le rinnovate motivazioni che dovrebbero alimentare questa ripartenza, in un mondo che oggi non ha solamente cambiato pelle a velocità supersonica, ma ha anche profondamente mutato noi come persone e, conseguentemente, noi in quanto imprenditori, manager e consumatori?

Il lockdown ha totalmente spostato le nostre abitudini: dalla mobilità forsennata e globale, siamo passati all’esperienza statica e remota del lavoro in casa e del consumo online. Infatti, l’innovazione che più è di moda suggerire alle aziende in questo momento è l’investimento nella trasformazione digitale. Possibilmente applicata per semplificare la complessità della vita di oggi. Di conseguenza, acquisire competenze in questo senso è indicato, anch’esso, come un ottimo impiego di risorse.

Giuste raccomandazioni, le quali – tuttavia – si limitano a indicare solamente una modalità di business, ovvero un “come”. È cioè un mezzo, non un fine. Se non si stabilisce dapprima il fine, come possiamo sapere quale sia il mezzo più adatto?

La qualità e l’efficacia del “come” dipende, in realtà, dalla nostra consapevolezza del “perché farlo”.

Per esempio, perché digitalizzare? Quali motivazioni avranno i nostri consumatori ad acquistare un nostro servizio o prodotto adattato in fretta e furia a questa emergenza? Digitalizzando, risponderemmo nel modo più appropriato a un’esigenza reale, che nessun altro sta soddisfacendo?

Cosa esattamente digitalizzare o cosa altro cambiare nel modello di business di un’impresa, dipende dalla risposta ai bisogni diversi che questa emergenza economico-sanitaria sta facendo emergere nelle persone interne ed esterne alle nostre aziende. Rifletterci equivale a accendere una lanterna in una stanza buia.

Come ci hanno veramente cambiati questi ultimi due mesi?

Il mondo che ci ha servito il Coronavirus è un luogo senz’altro diverso e, soprattutto, nuovo.

Nuovo nei suoi tempi, mai così dilatati e urgenti.

Nuovo nei suoi spazi, mai così chiusi e solitari.

Nuovo nella sua paurosa freddezza, mai così improvvisa e egualitaria.

Nuovo nella sua apparente vuotezza, mai così impietosa e alienante.

Se è vero che la vita è come un recipiente, e che noi tutti siamo ciò che ci buttiamo dentro, credo che questa pandemia non abbia solo svuotato il nostro contenitore di tutte quelle certezze che avevamo a fatica costruito; ce le ha anche gettate tutte addosso.

In ordine sparso, tutti i valori e le priorità che in esso erano contenuti, ci hanno presentato il conto.

Oggi, l’urgenza è pensare a come veramente sia il caso di riempire, in nuova guisa, il nostro prezioso contenitore. Da persone in primis e, solo in seconda battuta, da professionisti.

Durante la quarantena, siamo stati costretti a riflettere a lungo sulle nostre scelte e a individuare velocemente nuove direzioni, facendo buon uso di quel tempo dilatato e, insieme, urgente.

Siamo stati spinti a riordinare i nostri valori e le nostre cose con meticolosità, usando al meglio i nostri spazi ristretti.

Abbiamo sentito, irrefrenabile, l’urgenza di dedicare regolarmente del tempo ai nostri affetti, per allontanare la fredda solitudine e per domare la paura della lontananza.

I più sfortunati, si sono trovati a vivere il baratro della perdita dei propri cari, cercando di gestire un vuoto, il cui dolore solo il tempo, forse, riuscirà a lenire.

Se pensiamo a come noi, in quanto persone, stiamo venendo fuori da questo lockdown, possiamo affermare che la rivoluzione digitale, protagonista di questo millennio, è stata improvvisamente affiancata da una seconda rivoluzione, ben più potente: quella dei nostri valori.

Sono infatti emersi valori umani profondi, da tempo sopiti, che stanno influenzando i nostri comportamenti e che, quindi, plasmeranno il “new normal” di cui tutti parlano. Il digitale è, quindi, solo uno degli strumenti che potremo utilizzare per gestire la ripartenza. Ma non potrà mai essere la panacea per tutti i mali. Prima di decidere quale cambiamento sarà utile per ciascuno di noi, abbiamo bisogno di fare un passo indietro.

Il ritorno ai fondamentali

Identificare un nuovo “purpose”, cioè lo scopo imprenditoriale, è indispensabile per capire per quale fine ultimo facciamo quel che facciamo nel nostro lavoro.

Guido Barilla, in questa recente, bellissima intervista condotta dal suo amico Andrea Pontremoli, AD di Dallara, ha usato una metafora molto potente: la farina. L’uso massiccio che le persone ne stanno facendo è, di fatto, un ritorno all’essenziale. Quasi a suggerirci che questa ripartenza debba proprio iniziare da un ritorno ai fondamentali dell’esistenza e del business: cominciamo quindi dal capire quale sia il nostro scopo, cui tutto deve tendere, e leghiamolo alla passione per le nostre competenze e alla nostra innata dedizione al lavoro. Il resto, incluso l’inevitabile salto agli ostacoli che dovremo affrontare per arrivare al traguardo, verrà di conseguenza, perché saremo tutti spinti in avanti da una visione chiara, coerente ai nostri valori e positiva.

Visualizzare il futuro senza freni

Le parole di questo grande imprenditore mi hanno fatto venire in mente lIkigai giapponese: quel punto in cui le nostre passioni e competenze si incontrano con i bisogni del mondo.

Se riuscissimo a visualizzare il nostro futuro, facendo finta che tutto sia possibile e che il passato e il presente non contino, potremmo sviluppare una visione non solo innovativa, ma anche legata ai valori che animano i nostri sogni e quelli del nostro prossimo. Il risultato sarebbe potentissimo.

Non è un facile esercizio, pochissimi raggiungono l’Ikigai nell’arco della loro vita. Ma vale la pena provarci: abbiamo un’occasione imperdibile per un rinnovamento e un miglioramento senza precedenti, perché senza precedenti è la crisi che ha fatto tabula rasa dello status quo.

Tutto è possibile, se ci si mette in gioco. E, se esiste un momento perfetto per farlo, quello è oggi.

Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica di aeronautica, il calabrone non può volare, a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare.
Igor Ivanovic Sikorsky (1889 – 1972), pioniere dell’aviazione russo-americano


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