raffaella cardarelli
15 March 2020

Il virus della cattiva informazione

raffaella cardarelli
15 March 2020

L’emergenza Covid-19 sta mettendo sotto la lente di ingrandimento le capacità comunicative del nostro Paese, a tutti i livelli. Dal governo ai media, fino al popolo smanettone e, purtroppo, iperconnesso. 

E no! Non ne usciamo bene. Mi spingerei ad affermare che le lacune emerse in queste settimane, non fanno altro che confermare che il nostro Paese è in piena regressione dialettica. Qualcuno l’ha descritta efficacemente come “bulimia comunicativa”, che ha generato un’altra epidemia: quella della cattiva informazione.

Sia in emissione, sia in ricevimento.

Vorrei riflettere sulla prima: 

La comunicazione in uscita.

Lo farò, tuttavia, con una doverosa premessa: stiamo vivendo una pandemia mondiale senza precedenti. Causata da un virus che non conosciamo ancora, per il quale non vi sono cure, che muta senza avvisarti, che miete sempre più vittime e che ha una diffusione velocissima. Le conseguenze strutturali ed economiche saranno devastanti per il mondo intero. 

A chiunque sia al timone di una Nazione, in un momento che verrà raccontato dai libri di Storia, deve andare tutta la nostra vicinanza e solidarietà. Soprattutto negli errori, se commessi in buona fede.

Tutti navighiamo più o meno a vista. Anche nelle nostre diverse professioni. Non metto in dubbio quindi le buone intenzioni, come invece tanti fanno. Io preferisco la solidarietà, allo sciacallaggio. 

E’ con questo spirito che avanzo la mia critica sulla comunicazione di questo governo e degli altri attori di questa crisi. Il mio è un umile intento costruttivo e non distruttivo. Un’esortazione a fare meglio. Perché si può. Basta conoscere le “regole del gioco”, analizzando umilmente ciò che non ha funzionato e impegnarsi veramente a correggere gli errori.

Perché?

In una situazione di emergenza internazionale,
l’efficacia di una comunicazione istituzionale chiara, inequivocabile e puntuale nei tempi e nei modi è tanto ESSENZIALE, quanto le decisioni sulle misure da prendere per affrontare la crisi.

 

Soprattutto quando, la paura e l’ignoranza (nell’accezione di “non conoscenza della realtà”) dei recipienti, sono i principali propulsori di una potenziale isteria collettiva, che – se avvenisse – renderebbe ancora più complicata l’attuazione dei piani di azione decisi per risolvere i problemi in essere.

E cosi’ è, purtroppo, stato. Tuttavia, a mio parere, non per i motivi cui la maggioranza delle persone ha additato.

Considerando ciò che è successo – dall’arrembaggio ai supermercati come in tempi di guerra, all’assalto dei treni nel pieno della notte per tornare da mamma e papà al Sud Italia – è evidente che qualcosa non abbia funzionato. 

La disanima collettiva si è principalmente concentrata sul colpevolizzare la totale mancanza di senso civico e di responsabilità degli avventori (vero anche questo), quando il problema principale – secondo me – è stato soprattutto a monte. 

Un problema di Comunicazione Istituzionale.

E’ la leadership politica e mediatica che ha creato le condizioni psicologiche collettive, affinché la massa rispondesse nel modo in cui è avvenuto.

Sono i Leader, i crisis manager, i PR manager che devono prevedere come la loro audience reagirà e modulare, di conseguenza, contenuti, tempi e modi di erogazione della comunicazione. Non è ammissibile aspettarsi il contrario, soprattutto in epoca di social network!

Ciò cui abbiamo invece assistito, fino a pochi giorni fa, è stata una comunicazione carente di molti dei princìpi che la regolano in situazioni di crisis management, come per esempio stabilire: CHI dovrebbe parlare, COSA dovrebbe dire, COME e QUANDO.

 – il CHI –

troppi interlocutori indeboliscono la leadership,
non permettono un focus narrativo,
creano incertezza e sfiducia

 

In una situazione di crisis management, è il Leader che deve parlare alla sua comunità per primo, descrivendo contesto, rischi, speranze, risoluzioni e strumenti per metterle in atto. Ed è sempre il Leader il solo che dovrebbe comunicare decisioni importanti. In caso di impossibilità, devono essere chiaramente nominate – all’inizio dell’emergenza – le persone autorizzate ad essere portavoce istituzionali. E far parlare o scrivere solo loro, sotto il coordinamento di un Responsabile PR che imposta la strategia dei contenuti e ne controlla l’erogazione.

Nell’emergenza Coronavirus in Italia, ciò non è avvenuto. 

A tutti i livelli governativi e istituzionali, ognuno ha dato notizie (spesso non confermate) molto prima del nostro Leader Giuseppe Conte, o del suo portavoce, o dei suoi Ministri interessati. 

Spesso, le informazioni sono state divergenti, sensazionalistiche e fuorvianti. Responsabilità, questa, sicuramente dei politici e dei protagonisti gestionali della crisi, ma anche dei media.

Questi ultimi, anche davanti a errori lapalissiani del Governo, non hanno compreso che il loro diritto/dovere di informare la popolazione, in queste circostanze, doveva passare attraverso un filtro importante: quello del buon senso e dell’etica professionale. 

Invece, si sono scritti titoloni, contrastanti nei contenuti, incoerenti e confusionari. Si è data voce a troppi interlocutori, senza pesarne con coscienza le conseguenze. 

Penso al pasticciaccio Governo/Media avvenuto per il caso “chiusura delle scuole si/no?” del pomeriggio del 4 Marzo scorso, quando la comunicazione pubblica italiana ha probabilmente registrato una delle sue pagine più basse. 

La dinamica di cio’ che avvenne in quella giornata, ben spiegata in questo articolo, ha consegnato alla popolazione intera un messaggio di approssimazione, indecisione e confusione. Come dire: “non siamo sicuri al 100% sul cosa fare, navighiamo a vista”. Il che, come spiegato nella mia premessa, credo sia anche comprensibile. 

Anche un Supereroe si troverebbe a improvvisare in una situazione simile. 

Tuttavia, in questi casi, se si è dei professionisti della comunicazione, si sa che l’onestà di intenti è la strada più saggia, anche davanti alle incertezze che la situazione impone. 

Neanche il Primo Ministro di Singapore, PM Lee Hsien Loong, aveva la risposta a tutte le domande che sollevavano gli inizi di questa pandemia mondiale. Eppure, guardate e sentite come si è rivolto alla sua popolazione l’8/2 scorso, dopo sole 2 settimane dallo scoppio dell’emergenza nel suo Paese. 

Onesto sui dubbi, chiaro sulla strada da intraprendere, assertivo ma mai allarmante, illustra un piano preciso per l’immediato e, nel caso non avesse funzionato, una spiegazione dei rischi per il futuro. Lee alterna sapientemente incoraggianti sorrisi con espressioni serie e determinate e indossa – non a caso – una camicia di un confortante colore primaverile. Esprime chiaramente le minacce presentate dal virus, ma allo stesso tempo conforta il suo popolo, esaltando le capacità governative e strutturali del Paese. Ricordando come altri tempi bui li avessero già visti vincitori.

Lee ha parlato nuovamente alla sua gente il 12/3, dopo 5 settimane di intenso lavoro, durante il quale poche e puntuali sono state le informazioni date dai media alla popolazione. Non vi è mai stato panico e i cittadini hanno eseguito le istruzioni date, adattandosi alla nuova vita. Il piano ha funzionato. Ma avverte, ancora una volta, che il livello di allarme è ancora altissimo a causa dell’allargarsi della pandemia in tutto il mondo.

Da questa gestione ordinata, logica, assennata e sicura della comunicazione, scaturisce la percezione di un Leader di levatura, in controllo della situazione da ogni punto di vista; informato; con una visione a breve, medio e lungo termine, che in primis si è chiesto (e ha chiesto al suo team) quali potessero essere le preoccupazioni della sua gente e ha messo insieme un piano per rispondervi. Lee e il suo governo, i cui Ministri spesso nomina, ne vengono fuori come un gruppo di lavoro di cui puoi fidarti. 

Immagino che, chi legge, starà pensando alla differenza sostanziale che c’e’ tra una dittatura e una democrazia. Anche io vi ho riflettuto. Ma non ho trovato niente di dittatoriale nello stile e nei contenuti della comunicazione di Lee. In ogni caso, niente che non potesse essere replicato, con corretta pianificazione e professionalità, anche in un paese democratico come il nostro. Quella di Lee, tra l’altro, è definita una “dittatura benevolente”, non a caso.

Cio’ che invece più mi ha sorpresa, è stato il ripetersi, a casa nostra, degli stessi errori anche dopo quel criticatissimo 4 Marzo scorso.

Penso all’incredibile circolazione della bozza di un altro provvedimento urgente che trattava, come con le Scuole, decisioni importanti e mai prese prima: la limitazione della mobilità in Lombardia e in altre province. Anche in questo caso, media che diffondono la notizia in prima pagina e portavoce governativi totalmente assenti nel disdire tempestivamente la circolazione erronea e pasticciata di un provvedimento solo in bozza.

Non contenti, l’11 Marzo, accendo la televisione all’ora di pranzo per informarmi su SKYTG24. E sento leggere una lista di divieti che avrebbero voluto dire la chiusura anche della nostra attività lavorativa. 

Metto le mani nei capelli e alzo il volume, per accorgermi, alla fine del comunicato, che quella era solo una PROPOSTA della Regione al Governo. 

Ora mi chiedo quale possa essere la necessità di rendere pubblico – in un momento di confusione, paura e incertezza collettive – il parere della Regione. Democrazia? Si può esercitare anche a microfoni spenti e in modo ben più produttivo di questo! E, nel frattempo, per l’ennesima volta, si è creata nel popolo italiano un mare di confusione, di ansia e di panico totalmente ingiustificati. Non solo. Si è creata la fazione pro-Fontana/Gallera e una pro-Conte. Si è creata, cioè, DIVISIONE.

 – il COSA, il COME, il QUANDO –

cambio di contenuti in corsa
e dubbie tempistiche nella comunicazione,
causano psicosi e panico

Il Governo italiano ha scelto da subito la linea della trasparenza delle informazioni quale strategia di gestione e di comunicazione di questa emergenza. 

Ottima scelta. Gestione, a dir poco, migliorabile. Sia nei contenuti, sia nelle forme.

Raramente vi è stata fino ad oggi una “consecutio” logica nel susseguirsi delle notizie e/o comunicazioni ufficiali e i toni di voce non sono stati correttamente modulati alle circostanze. Faccio qualche esempio della schizofrenia mediatica cui siamo stati assoggettati.

Fase 1 – inizio dell’emergenza in Italia – “Paralisi da Virus”

I media, non coordinati a dovere dall’ufficio stampa del Governo, hanno optato da subito per il sensazionalismo da click-bait, pubblicando titoli allarmistici e da apocalisse. Libero:”Prove tecniche di strage”, 

Conseguenza: La popolazione ha rallentato drasticamente la vita sociale, i consumi, arrembaggio ai supermercati e l’estero ha cominciato a vederci come il Paese da evitare a tutti costi. 

Fase 2 – “Diamoci tutti una calmata” 

Comprese le conseguenze di quel taglio narrativo sui consumi e sul business, il Governo ha cambiato drasticamente toni dopo solo una manciata di giorni. Ha, quindi, chiesto ai media nazionali di seguirlo nell’intento di minimizzare: “il coronavirus colpisce solo persone anziane”, “ha una mortalità bassissima e solo in caso di importanti patologie pregresse”… “rilassatevi e uscite”. “La vita deve essere svolta normalmente prendendo solo poche precauzioni”.  

Conseguenza: la popolazione si è riaffacciata alla vita, ha ripopolato le città, i posti di lavoro, i bar, i pub, le chiese, i ristoranti.

Nel frattempo, i dati epidemiologici continuavano a salire esponenzialmente.

Fase 3 – “Tutta la Lombardia e altre province saranno zone rosse”

Ulteriore cambio di contenuti e toni: “la situazione è grave”, “ci saranno misure di contenimento più stringenti”.

PAUSA temporale di parecchie ore – che non dovrebbe mai avvenire per evitare allarmismi e speculazioni.

Conseguenza: si diffonde viralmente la notizia della chiusura imminente di tutta la Lombardia. La gente corre alle stazioni per tornare al Sud.

Fase 4 – “Estendiamo le zone rosse, ma con diritto di circolare e negozi aperti”

Comunicazione di misure stringenti (il cosiddetto lock-down parziale della Lombardia e di altre province italiane) comunicate dal Presidente del consiglio in toni gravi e assertivi. OK. Messaggio ricevuto.

Fase 5 – “Non c’é più tempo!”

Dopo un paio di giorni (tanto per confermare che stiamo navigando a vista), si avverte ancora  – di nuovo da varie fonti – che potrebbero arrivare misure ancora più restrittive. Lo si dice di sera, a chiusura della giornata. Ma NON si dice cosa. 

Conseguenza: Speculazioni di massa, per la maggior parte di tono catastrofico. Media in frenesia da notizia in esclusiva. Paura e angoscia che salgono.

Fase 6 – “L’Italia è in totale lock-down”

Comunicazione ufficiale da parte del Presidente del Consiglio del lock-down di tutto il Paese, ad esclusione di aziende private e pubbliche, supermercati e farmacie.

Inizia la campagna #iostoacasa: ottima idea per comunicare la responsabilità individuale nel rallentare la diffusione del virus. Diventa pero’ un mantra anche negativo, nel senso che non si capiscono bene TUTTI i casi in cui è possibile invece uscire. Semplicemente perchè non vengono comunicati tempestivamente.

Conseguenza: Incertezza da subito sugli spostamenti lavorativi, file di 70km ai valichi di frontiera, colpevolizzazione di chiunque si trovi in giro, anche se per motivi previsti dalla normativa. Abbuffata successiva di commenti, critiche e informazioni sparse su ogni media tra vari opinionisti.

Ad oggi, ancora non è chiaro a tutti chi veramente dovrebbe indossare la mascherina. Se questa è utile o meno. Se andare al parco da soli, a fare ginnastica, è consentito o meno.

Non esiste un’informazione UNIVOCA E CERTA.

E, soprattutto, cosa succederà dopo il 4/4, se tutto questo non dovesse funzionare? E le misure economiche? Quando arriveranno i 20 miliardi per le aziende e le famiglie? E l’Europa? Ok dicono di essere flessibili. Ma i loro aiuti, quali saranno concretamente?

Anche la mancanza di ascolto verso le preoccupazioni di un’intera popolazione porta alla paura e, quindi, al panico. Il Cosa della comunicazione deve iniziare proprio dall’identificare prima le aspettative della nostra audience. E, solo dopo, far seguire i nostri bisogni. Questo perché, in comunicazione, a volte, può pesare molto di più ciò che non si dice, di ciò che si dice.

In Italia si è detto troppo e, troppo spesso, tutto e il contrario di tutto.  

E’ stata una vera epidemia della cattiva informazione, che va assolutamente fermata.

La popolazione ha subito quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiamato INFODEMIA.

Vale a dire una circolazione esagerata di informazioni, opinioni e fake news, che non hanno fatto altro che confondere la popolazione mondiale e creare panico. Complice il lettore iper-connesso, che non ha esitato a far circolare qualunque tipo di notizia che ritenesse importante per il suo network di amici e conoscenze.

Questa dinamica viziosa ha indebolito notevolmente l’efficacia del lavoro svolto e ha rallentato enormemente la collaborazione pubblica.

La comunicazione non è solo lo specchio della Leadership.
E’ uno dei suoi strumenti abilitanti.

La capacità di comunicare in modo chiaro, conciso e diplomatico è qualità imprescindibile di qualsiasi Leader. Essa aiuta enormemente nel raggiungimento dei propri obiettivi. Perché la comunicazione è uno strumento strategico essenziale per influenzare i propri interlocutori e fare squadra con loro, verso una direzione comune. 

Il livello di assertività, di chiarezza e di coerenza di un Leader e della sua squadra influenza in modo proporzionale il livello di fiducia della sua audience. E, di conseguenza, le sue reazioni. 

Pertanto, se vi è poca chiarezza o completezza nella comunicazione istituzionale di un governo, si innesta un effetto domino inarrestabile sulla collettività:

incomprensione del messaggio ricevuto -> smarrimento -> ricerca sparsa e disordinata del suo significato o completamento -> sviluppo di interpretazioni individuali molteplici -> fuorvianti conclusioni -> aggregazione naturale di masse con simili conclusioni -> divisioni -> escalation della paura -> panico    

Evitare questo effetto domino è un lavoro, di grande responsabilità, che deve essere dato in mano a dei professionisti. Non può essere improvvisato. Ha bisogno di una oculata strategia su vari scenari e di una seria pianificazione, con una notevole maestria, da parte dei gestori della comunicazione, ad adattarsi velocemente ai cambi di situazione sui vari scenari di riferimento.

Questo approccio rigoroso e strutturato alla comunicazione strategica è necessario soprattutto in tempi in cui la piena comprensione delle informazioni, anche quando sono chiare, è problematica. Causa ne è un fenomeno sociale talmente diffuso in Italia, da aver meritato un appellativo: analfabetismo funzionale. Se non lo si conosce, non si può essere efficaci in comunicazione. 

Ma questa è un’altra storia.  

 

#celafaremo


To find out what we do in communication and content development, see here.

In change management, see here.

For our C-suite management services, read here.

To understand which type of professional training we deliver, discover our Corporate Learning programmes.

If you are interested in our story, check us out here.