raffaella cardarelli
31 January 2019

Basta. Mi licenzio!

raffaella cardarelli
31 January 2019

 

Vi è mai capitato di pensare o, più concretamente, pronunciare un:

“Basta. Mi licenzio!”?

E vivere il “dopo” più come una liberazione, che come una preoccupazione?

A me sí! 20 anni fa. Ero, molto giovane, la Responsabile Marketing di un quotidiano importante, ma non ero felice. 

“Basta. Non metterò mai più piede in questo negozio! E non comprerò mai più niente di questa marca.”

Immagino che questa frase l’abbiate, invece, pronunciata molte più volte della prima.

Anche io! E accade sempre più spesso, tra l’altro! L’ultima volta, è capitato a causa di un’allucinante esperienza di viaggio con Ryanair. Da allora, non ho mai più messo piede su un loro aereo.

Queste due frasi liberatorie (“mi licenzio” e “mai più questa marca”), rivolte a soggetti molto diversi, sono in realtà strettamente correlate: la seconda è infatti, spesso, la conseguenza della prima. 

Mi spiego.

I primi clienti di un’azienda sono le persone che ci lavorano. Se loro sono felici, ameranno il loro lavoro, lo faranno meglio e eccederanno le aspettative dei loro superiori che – no! – non sono, in ultima analisi, i loro capi; sono i clienti dell’impresa per la quale lavorano. 

Per effetto contrario, se i nostri migliori talenti sono infelici dell’ambiente in cui lavorano, se ne andranno e rimarranno solo coloro che non hanno ancora alternative, i quali lavoreranno male e la loro insoddisfazione ricadrà irrimediabilmente sulla clientela. 

Banale? A giudicare da quello che osservo durante le mie giornate di lavoro, non credo lo sia!

Questa stretta correlazione forza lavoro – cliente comprende tutti, ma proprio tutti i livelli e i tipi di ruoli, sia interni sia esterni all’impresa!

Anche coloro che non hanno, per posizione aziendale, un diretto contatto con la clientela, hanno comunque un enorme impatto su di essa. 

Chi, per esempio, lavora in un ufficio Acquisti, ha a che fare tutti i giorni con molti fornitori.

Dei clienti finali, nel loro quotidiano, neanche l’ombra!

Se, tuttavia, l’impiegato/a in questione è rispettato/a e apprezzato/a per il suo lavoro, rispetterà e apprezzerà di conseguenza il lavoro dei suoi fornitori e li responsabilizzerà, coinvolgendoli emotivamente, verso l’obiettivo ultimo:

la piena soddisfazione del cliente finale. 

Il fornitore in questione, motivato dall’approccio, si spenderà oltre il consueto per erogare un prodotto o un servizio migliore. Attraverso l’effetto a cascata sopra descritto, la qualità della relazione instaurata, si tramuterà in qualità del prodotto/servizio, ricadendo positivamente sempre sul cliente finale, il quale non avrà mai la tentazione di guardarsi intorno per cercare alternative!

E’ un circolo virtuoso, ben espresso da Richard Branson in una delle sue famose frasi:

“If you take care of your employees, they will take care of the clients”

 

E’ verissimo! L’Oreal, per esempio, ha constatato empiricamente di aver incrementato del 50% la lealtà del suo consumatore (!), solo dopo aver raggiunto la piena soddisfazione della sua forza lavoro. E’ infatti, notoriamente, un’azienda che mette la ritenzione del personale – employee retention – al centro dei suoi obiettivi strategici.

Mi sembra apparente che, in un’epoca in cui si parla tanto di investimenti necessari ad aumentare il “customer engagement”, la scelta più sensata, sia quella di trattare in primis le persone come fossero i nostri migliori clienti e iniziare, quindi, a investire su di loro, e non esclusivamente usando risorse finanziarie. 

Come?

Nella mia esperienza professionale degli ultimi 30 anni, durante la quale ho avuto la fortuna di lavorare per piccole, medie e grandi imprese, ho constatato che quelle in cui mi sono trovata meglio, avevano una cosa in comune: una forte cultura aziendale, che sentivo a me vicina e talmente riconoscibile, da poterla quasi respirare nell’aria. 

La cultura di un’azienda è tutto. 

Permea ciascuna azione ed è il risultato di comportamenti congiunti, assunti con costanza, coerenza e perseveranza; piccole cose che, sommate ogni giorno, determinano i valori dell’ambiente di lavoro in cui ogni persona che ci lavora si riconosce e, per questo, ci resta.

Brian Chesky, co-fondatore e CEO di Airbnb, dopo aver accettato il consiglio numero 1 di Peter Thiel  per un’impresa di successo - “don’t f*ck up the culture“ –  ha così commentato:

The thing that will endure for 100 years, the way it has for most 100 year companies, is the culture. The culture is what creates the foundation for all future innovation. If you break the culture, you break the machine that creates your products.

Qui trovate 25 esempi di fantastiche culture aziendali, che rappresentano una delle fonti di vantaggio competitivo di queste imprese: Twitter, Dropbox, Zappos, Southwest Airlines, Quora, Medium, Patagonia e molte altre hanno deciso di essere rigorose nello sviluppo della loro cultura, iniziando da un’attenta selezione dei loro talenti.

Infatti, una delle caratteristiche fondamentali nel selezionare le persone che lavoreranno per noi, è ciò che in inglese si chiama il “cultural fit”: si riconosce l’esistenza di un fit, quando è palpabile una comunanza di valori, di attitudini e di stili comportamentali con il talento che si sta considerando. Questo è tanto importante, quanto le sue competenze specifiche! 

Molte start-ups, per esempio, muoiono al loro nascere perché gestite da soci che non condividono i valori-base che stanno dietro all’idea imprenditoriale; al primo ostacolo, questa mancanza si fa apparente e, a volte, crea tensioni irreparabili.

Anche quando una start-up inizia a scalare, si corre lo stesso pericolo: nel caso fortunato di una crescita repentina del business, presi dall’urgenza di incrementare la capacità produttiva, si assumono individui spesso incompatibili con gli altri colleghi che contaminano così, con la loro presenza, le fondamenta valoriali dell’impresa. Un colpo, questo, spesso mortale. 

Un alto turnover del personale in qualsiasi azienda è molto probabilmente dovuto o a una cattiva selezione iniziale o all’incapacità dei managers in azienda di gestire e motivare le persone.

Cosa ci motiva allora a restare, a dare il meglio?

Se guardiamo alla lista dei migliori datori di lavoro per capacità motivazionali, e leggiamo le ragioni dietro all’alta soddisfazione dei loro dipendenti, è incredibile constatare quanto lo stipendio sia molto raramente citato quale motivo di appagamento.

In un mondo sempre più caotico, egoista, pericoloso e instabile, le persone vogliono alla fine sentirsi considerate, parte di un team coeso, unito dagli stessi valori, che marcia verso una direzione condivisa, in un posto sicuro e sano. Tutto questo contribuirà a un’alta “employee retention”, a patto che vi siano managers in grado di creare un ambiente cosi’ descritto. Se non sono adatti, vanno allora formati o rimpiazzati.

E’ proprio a seguito di questa consapevole inadeguatezza, che si prevede per il 2019 che le imprese italiane investiranno più sulla formazione che su nuove assunzioni, e che il tipo di formazione sarà esperienziale e orientata con precedenza alle
Soft skills”, alla base delle capacità relazionali e comunicative di ogni leader. Come conferma l’adagio:

People do not leave their jobs – they leave their bosses!

Dimensione del fenomeno?

 

E’ ora, quindi, di passare all’azione!

Iniziate a vedere, qui sotto, se riconoscete questi vizi nella vostra azienda o in quella per cui lavorate. E, se non sapete proprio da dove iniziare per correggere certe mancanze, formatevi! Ne trarrete vantaggi sia personali, sia professionali e acquisirete un’abilità trasversale – il people management – sempre più rara, che vi renderà quindi indispensabili e appetibili agli occhi di qualsiasi datore di lavoro; giusto nel caso in cui, chi legge, sia in procinto di pronunciare la frase da cui ho iniziato questa mia riflessione.

Le 5 ragioni più comuni per cui le migliori risorse si licenziano dai loro posti di lavoro.
(fonte: TinyPulse report, Dicembre 2018)

Management di scarso livello

Mancanza di riconoscimento del proprio lavoro

Burnout: eccesso di lavoro

La cultura aziendale non prioritaria

Nessuna opportunità di crescita professionale

Come scritto più sopra, tra le ragioni primarie di insoddisfazione dei lavoratori, non compare lo stipendio.

Some food for thought.